NUOVI STUDI SUL CROMOSOMA X E LA SUA INFLUENZA SULLE DISABILITA INTELLETTIVE   Stampa questo documento dal titolo: . Stampa

È stato chiarito per la prima volta il meccanismo molecolare alla base del deficit di apprendimento e memoria riscontrato nei pazienti affetti da una forma genetica di disabilità intellettiva, quella legata al cromosoma X: a descriverlo, sulle pagine della rivista scientifica « Neuron», è stata Maria Passafaro, ricercatrice dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IN-CNR) di Milano e dell’Istituto Telethon Dulbecco, il “programma carriere” della Fondazione Telethon, intitolato al Premio Nobel scomparso nei mesi scorsi.

Finanziato da Telethon e dalla Fondazione Mariani, questo studio dimostra per la prima volta l’importanza della proteina Tspan7, alterata in questi pazienti, per un corretto traffico di uno dei più importanti “messaggeri” del cervello, il recettore di tipo AMPA per il glutammato. «Questo neurotrasmettitore – spiega Silvia Bassani, assegnista presso l’IN-CNR e prima autrice del lavoro – è coinvolto in numerose attività cerebrali, tra cui quelle della memoria e dell’apprendimento. Per esercitare il suo ruolo, però, è fondamentale che le cellule nervose siano in grado di captarlo correttamente, grazie ad appositi recettori situati sulla loro superficie. Come abbiamo dimostrato, nei pazienti affetti da disabilità intellettiva legata al cromosoma X, il difetto genetico nella proteina Tspan7 si traduce in un trasporto inefficiente sulla superficie dei neuroni di uno dei recettori del glutammato, quello di tipo AMPA. In altre parole, il recettore viene sottratto troppo velocemente dalla superficie e, di conseguenza, i messaggi mediati dal glutammato risultano ridotti».

Alla luce dunque di questi risultati, i ricercatori del CNR proveranno a testare nel modello animale della malattia l’efficacia di alcuni farmaci nel mantenere il recettore in superficie più a lungo: «Ce ne sono almeno due – prosegue Bassani – già utilizzati in ambito clinico, che potrebbero fare al caso nostro e se riusciremo a osservare in vivo un ripristino delle funzioni difettose a causa del difetto genetico, potremo pensare di proporne l’utilizzo anche nell’uomo, per provare a stimolare un recupero delle capacità cognitive deficitarie».
«A questo punto – conclude la ricercatrice – per valutare una possibile efficacia terapeutica di queste sostanze ci vorranno almeno due anni, nei quali continueremo ad andare a fondo dei complessi meccanismi che regolano la comunicazione tra le cellule nervose e che sono fondamentali per chiarire come funziona il nostro cervello, sia in condizioni fisiologiche, sia in caso di malattia». (Ufficio Stampa Telethon)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@telethon.it.

 



Pubblicazione del: 01-07-2012
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